[Gfoss] geodati

luca orlandini ataka at inventati.org
Mon Feb 6 13:33:06 CET 2006


....giro una mail apparsa sulla mailing list italiana cyber-right,
fa piacere che anche su altre liste, non propriamente legate alla 
gestione dell'informazione territoriale, venga posta la necessità si definire
un politica di gestione dei dati geografici.....

ciao a tutti
Luca
****************************************************************************


Qualora ci si accosti al problema dei geodati senza una minima introduzione
all'argomento si rischia di cadere vittime di una forma molto particolare e
acuta di labirintite. La vastità dei problemi sembra amplissima e le
conoscenze necessarie alla comprensione del fenomeno spaziano dagli aspetti
legali a quelli tecnologici, fino al vagare impreciso dei ricordi della
geografia astronomica studiata alle superiori.

Quando, facendo ricerche in rete, ci si imbatte in così numerosi strati di
complessità, si può avere l'impressione che il problema sia talmente
specialistico da poter essere affrontato soltanto dagli esperti e nelle sedi
adatte. Errore. I geodati riguardano la nostra vita, la vita di tutti. E la
riguarderanno ogni giorno di più. Gli "stakeholder" siamo noi.

Prima di entrare nel problema specifico occorre cimentarsi in una sorta di
preambolo storico. La geografia, ai tempi delle prime esplorazioni, poteva
essere considerata quella che oggi si definisce una scienza sperimentale.
Essa si basava su un gioco di ipotesi, di congetture, costantemente al
vaglio dell'esperienza. Le teorie sulla struttura della terra e del sistema
solare potevano essere smentite o confermate dai dati raccolti nel corso
delle spedizioni. I racconti si sovrapponevano alle teorie, i viaggi erano
importanti quanto le notti trascorse sulle carte.
Via via che la ricerca geografica sperimentale andava concludendo il suo
itinerario, la geografia venne sempre più ad assumere il ruolo di scienza
descrittiva. La cartografia diveniva un'attività legata prevalentemente agli
interessi degli stati. La definizione dei confini e il controllo del
territorio ha trasformato progressivamente l'attività di geografi e
cartografi in un settore di pertinenza dei militari e delle burocrazie
statali. Come ha evidenziato Foucault, già nelle tecniche di governo esposte
nel libro di Luis Torquet de Mayenne (1611), la polizia veniva divisa in
quattro sezioni di cui una, la quarta, si occupava di  «sorvegliare la
"demesne", ossia il territorio, lo spazio, la proprietà privata, i lasciti,
le donazioni, le compravendite, oltre a occuparsi dei diritti feudali, delle
strade, dei fiumi, degli edifici pubblici, e così via».
La fine della fase "romantica" della ricerca geografica strappò la geografia
ai viaggi e alle fantasticherie e la consegnò a uomini devoti all'ideale
utopico secondo cui la legge coincide con l'ordine.

Venendo ai nostri giorni, ci sono alcune buone ragioni per sostenere che la
geografia sia tornata, almeno temporaneamente e limitatamente ad alcuni
aspetti, una scienza sperimentale. La rivoluzione microelettronica ha
digitalizzato la geografia attraverso alcuni nuovi strumenti: le fotografie
satellitari, l'automazione dei processi di calcolo e dei dati relativi alla
localizzazione del territorio, la presenza di satelliti in grado di
identificare istantaneamente la posizione di un segnale su un punto
qualsiasi del pianeta. I problemi degli studiosi di questo settore
riguardano principalmente la trasposizione di foto satellitari ad altissima
definizione su matrici di punti (identificati da numeri), per ottenere una
rappresentazione univoca e molto dettagliata di settori sempre più ristretti
di territorio (geolocalizzazione). Queste operazioni richiedono
l'implementazione di calcoli estremamente raffinati che comprendono problemi
di geodesia, di calcolo matriciale, di conversione tra diversi sistemi di
misurazione, di creazione di appositi formati, di definizione di standard e
di metadati, di ideazione di database altamente specifici.

I risultati di questi studi sono relativamente prevedibili e in gran parte
già operativi. In termini generali, la mappatura del pianeta attraverso
precise griglie di punti determina la creazione di nuovi strumenti che
permettono analisi estremamente dettagliate sui più vari aspetti del
territorio. Una volta che si dispone di definizioni chiare ed univoche dei
punti (una sorta di indirizzi che comprendono generalmente latitudine e
longitudine) questi dati possono essere incrociati con una verietà di
informazioni: dalla distribuzione territoriale della popolazione alla
composizione geologica del territorio, al clima alla fauna etc. Si pensi, ad
esempio, ai risultati dell'incrocio dei dati geografici con le stime
prodotte periodicamente da enti come l'Istat. A questi dati "classici" se ne
stanno aggiungendo altri, di tipo del tutto nuovo, ricavati da forme diffuse
di utilizzo dei geodati, per esempio quelli sulla mobilità territoriale
ricavati dalla rilevazione delle posizioni dei telefoni cellulari.

Non è facile avere un'idea precisa di quale sia lo stato dell'arte. Tuttavia
non è peregrino supporre che gli Stati Uniti, che dispongono da vari anni
delle informazioni provenienti dai satelliti, siano già dotati di sistemi di
mappatura altamente dettagliati dell'intero territorio planetario. L'Europa
presenta invece un certo ritardo dovuto, in parte, alle minori tecnologie a
disposizione, in parte, alla consueta disarmonia tra i diversi stati,
ciascuno dei quali ha spesso adottato a modalità proprie nella gestione
dell'informazione geografica (più o meno "digitale").

Questo significa che gli Stati Uniti potrebbero disporre già dei dati del
territorio europeo che, viceversa, l'Europa si deve in gran parte ancora
pazientemente costruire. Una decina di anni fa questo sarebbe stato definito
un problema "diplomatico". Oggi, molto probabilmente, si tratta soltanto un
problema economico. E' quantomeno legittimo supporre che i geodati relativi
a territori esterni agli USA vengano "venduti" mentre quelli relativi al
territorio statunitense, come vedremo, sono rilasciati per un uso pubblico,
aperto e senza costi.

E' molto difficile al comune mortale scoprire, ad esempio, di quanta
informazione geografica (e sotto quali formati) dispongono lo Stato e gli
Enti Pubblici in Italia. Ancora più difficile è capire la situazione dei
privati che potrebbero avere acquistato geodati "italiani" all'estero.

E' del resto evidente che mentre la discussione pubblica sui geodati rimane
imbrigliata in questioni teoriche, l'industria privata ha già lanciato sul
mercato strumenti come i GPS che sono dotati di griglie territoriali
altamente dettagliate ed efficienti di gran parte del territorio europeo.
E' legittimo chiedersi quale sia lo status legale dei dati a cui attingono
strumenti come il GPS. Al momento si tratta di strumenti di cui l'utente
conosce il solo output, senza avere nozione del funzionamento e delle
questioni legali ad esso retrostanti. E' evidente che, in un' ottica "open
source" il rilevatore di posizione GPS si presenta come un sistema
"proprietario" a tutti gli effetti, una black-box di cui si ha a
disposizione solo un risultato in uscita.

Where 2.0

Comunque, qui interessano soprattutto le prospettive che i geodati aprono
nell'ambito dello sviluppo delle tecnologie di rete.
Prima di discutere di quali siano le forme idonee promuovere una diffusione
libera dei geodati occorre infatti avere un'idea di come la rete possa
venire trasformata dall'uso dei geodati. Sotto questo profilo - mi si
perdoni il tono un po' altisonante dell'affermazione - siamo di fronte alla
possibilità di una vera rivoluzione copernicana.
L'idea di utilizzare geodati nei motori di ricerca, ad esempio, pur non
essendo nuova, si è finora scontrata con una serie di difficoltà. Tuttavia è
abbastanza facile prevedere che l'introduzione di metatag  darà alle
ricerche online caratteristiche del tutto nuove, in cui il rapporto il
territorio si farà più stretto ed efficace.
Si tratta di una prospettiva che riguarda (o dovrebbe riguardare) molto da
vicino quanti, per ragioni politiche o sociali, insistono da anni in una
paziente azione di stimolo circa l'importanza delle funzioni locali (e
sociali) della rete.
Si sta creando un'ipotesi di sviluppo legata all'uso dei geodati che può
essere opportunamente afferrata o, viceversa, colpevolmente lasciata andare.
Non stupisce che gli ideatori della nuova petizione sui geodati parlino dei
geodati come del nucleo del cosiddetto Web 2.0 (non a caso definito da
alcuni, forse più propriamente, "Where 2.0").
Il problema dei geodati riguarda quindi anche le forme d'uso dei software di
rete. In termini generali, l'intera problematica del rapporto tra rete e
territorio è investita in modo sostanziale dagli usi possibili dei geodati.

Uno dei punti più interessanti e promettenti della questione riguarda la
possibilità di garantire l'accesso a dati geografici attraverso operazioni
"in scrittura". Si intende cioè la possibilità di dare all'utente la facoltà
di contribuire direttamente alle definizioni del territorio attraverso le
proprie "mappe cognitive". In teoria si potrebbe parlare di narrazioni
collettive dello spazio ispirate al modello di wikipedia: dopo la grande
enciclopedia, nascerà il grande atlante dell'intelligenza collettiva. Ma la
realtà è anche un'altra: il territorio si nutre di conflitti. Gli ipotetici
servizi in rete aperti in scrittura e basati su geodati non possono sperare
di aggirare i conflitti. Del resto è proprio questo il tratto che qualifica
la democrazia così come viene intesa dal "popolo della rete" (continua, non
rappresentativa e proliferante).
Ci troviamo di fronte a una vera e propria biforcazione: o la rete rimarrà
uguale a sé stessa, oppure riuscirà a modificare il proprio andamento e il
proprio ruolo per effetto di una relazione di tipo del tutto nuovo con il
territorio. Un rapporto, per quanto detto sopra, aperto al conflitto.

Purtroppo, come spiegheremo di seguito, questi scenari possibili rischiano
di essere paralizzati da una serie di delicate questioni politiche e legali.
Il problema dei geodati ha scatenato feroci polemiche in Inghilterra nel
corso del 2005.
Il motivo per cui l'Inghilterra svolge in Europa un ruolo trainante in
questo tipo di discussioni è abbastanza ovvio: essendo i più diretti
interlocutori degli Stati Uniti (anche per questioni linguistiche) sono
stati i primi a rendersi conto del crescente gap che separa l'Europa dagli
Stati Uniti riguardo la disponibilità pubblica dei geodati.
Per riassumere brevemente, si può affermare che quando gli Stati Uniti hanno
consentito la consultazione libera dei dati dei satelliti GPS (2000) si sono
date le condizioni per lo sviluppo di una serie di progetti di grande
interesse sia nel settore pubblico che in quello privato (basti citare i
servizi di google o il TIGER map service). Questa proliferazione di
iniziative ha tuttavia anche un'altra spiegazione che va ricercata nella
politica sostanzialmente democratica nei confronti dell'uso pubblico dei
geodati sviluppata dagli USA.

Un importante libro uscito a Giugno negli USA e subito rimbalzato
Inghilterra mostra in modo evidente quale sia lo spettro di possibilità
aperte dai geodati. "Mapping Hack" non è un libro teorico. Si presenta
piuttosto come un insieme di "ricette" che vanno da come usare un rilevatore
di posizione GPS in modo corretto fino al codice necessario per lanciare un
programmino in Perl che prende mappe da un server "aperto" e le mette a
disposizione del nostro sito. Oltre la cortina di fumo dei problemi legali,
il mapping diviene "un arte del fare" una pratica che appassiona e diverte
tanto i programmatori quanto i semplici utenti.  Non a caso si parla oramai
di un vero e proprio boom della cartografia digitale.

Gli inglesi, grazie all'impatto di "Mapping Hack", si sono subito resi conti
delle limitazioni legislative che caratterizzano l'uso dei geodati in
Europa. Non perché il libro abbia un esplicito taglio politico a tale
riguardo, ma semplicemente perché la maggior parte dei servizi di rete che
mettono a disposizione geodati aperti sono statunitensi e forniscono
soltanto informazioni relative al territorio USA. Una molteplicità di
pratiche di uso comune sono perfettamente legali negli Stati Uniti ma
proibite e non realizzabili in Europa.

In un saggio dei ricercatori inglesi Yvette Pluijmers e Peter Weiss
intitolato «Borders in Cyberspace: Conflicting Government Information
Policies and their Economic Impacts» gli autori sostengono che l'intera
politica USA sulla libertà di accesso ai dati è ispirata a un semplice
principio: quello che i dati sono pubblici e sono già stati pagati dai
cittadini. Dunque, essi non possono essere pagati una seconda volta. Fatta
questa dichiarazione, gli autori prendono atto di come oramai un simile
principio, sebbene ineccepibile, non riesca più a persuadere la classe
politica europea. Per questo i due si prodigano in una voluminosa disamina
mirata a dimostrare come e perché l'approccio "open access" sia conveniente
anche sotto il profilo economico. I due studiosi contestano radicalmente il
principio del "costs recover" (il presunto "recupero dei costi") che ispira
la legislazione europea su questi temi, dimostrando come un uso aperto dei
dati pubblici svolgerebbe anche un'azione rivitalizzante nei confronti
dell'economia.

Tuttavia a un giudizio di superficie quale può essere il nostro, la
situazione inglese, tutto sommato, risulta almeno più chiara di quella
italiana. In Inghilterra la gestione dei dati pubblici (e di quelli
geografici in particolare), tutelati dal copyright della corona, è assegnata
a Ordnance Survey (OS) che è un'Ente che si potrebbe definire "parastatale".
L'accusa che Pluijmers e Weiss muovono a OS è  bruciante: degli oltre cento
milioni di Euro fatturati ogni anno da Ordnance Survey solo il 30% proviene
realmente da acquirenti privati, mentre il rimanente riguarda richieste da
parte di settori pubblici locali come i comuni. Questo significa che non si
tratta propriamente di un business a vantaggio dello stato ma, al contrario,
di un sistema evoluto per far pagare al cittadino più volte lo stesso
servizio.

La responsabilità principale della situazione di arretramento dell'Europa,
secondo Pluijmers e Weiss, è da attribuire ad una direttiva europea del 1998
in materia di database. Questa direttiva è stata proposta sull' onda del
convincimento che le aziende produttrici di database fossero costantemente
scoraggiate nel loro lavoro dal rischio di vedersi copiare i propri dati da
aziende pirata.
Con l'approvazione della direttiva ci si aspettava un incremento della
produzione di database. Inutile dire che, a otto anni dalla direttiva, una
ricerca commissionata dal governo del Canada afferma esplicitamente che la
politica "open" degli USA in materia di dati ha incrementato il mercato e lo
sviluppo molto più significativamente della politica "proprietaria"
dell'Unione Europea che attualmente langue.
Dal momento che tale direttiva non esclude la possibilità per gli stati di
vendere i propri database si è creata una cascata di scatole cinesi, in cui
gli stati cedono i propri dati ad aziende private che a loro volta rivendono
i dati a piccole imprese o, più spesso, a enti pubblici minori.

Inspire

Riguardo al tema specifico dei geodati l'Europa ha cercato di dare un taglio
"democratico" alla gestione dei geodati attraverso la direttiva "inspire".
Uno degli autori di "Mapping Hack", Jo Walsh, ha evidenziato per tempo i
rischi impliciti nella direttiva "inspire". In un testo intitolato "Modyfing
the inspire directive" Walsh ha evidenziato come la direttiva, pur
contenendo una serie di argomenti apprezzabili in materia di condivisione e
riuso dei dati nell'ambito dei paesi dell'Unione, lasci fondamentalmente
intatta la questione della proprietà dei dati. Scrive Walsh:

«Per quanto previsto da INSPIRE, i dati spaziali non sono accessibili
liberamente e senza costi. Essi DEVONO essere ottenuti attraverso servizi di
e-commerce. Gran parte del generoso budget previsto da Inspire sarà dedicato
alla realizzazione di un sistema di transazione commerciale sicuro».

Rincarando la dose, Walsh evidenzia come un servizio equivalente allo
statunitense Census Bureau's TIGER Map Service, che permette l'accesso
diretto e gratuito al dato geografico
(http://www.census.gov/geo/www/tiger/tigermap.html) non sarebbe autorizzato
dalla direttiva Inspire. Walsh sostiene - e ha perfettamente ragione - che
la direttiva non autorizza la comunicazione tra macchine ma la sola
comunicazione tra utente e servizio.
Un'interrogazione su un database libero come TIGER precede più o meno in
questo modo: attraverso un comando di get un essere umano o una macchina
chiedono al server: "dammi la mappa compresa tra questa coordinata e
quest'altra, in un'immagine di queste date dimensioni".

Questo tipo di richiesta assume di solito la forma di un indirizzo web,
molto lungo, che si può leggere sulla barra degli indirizzi del browser. Tra
l'altro, questo è un punto importante, si può automatizzare il procedimento
di richiesta e gestire le mappe all'interno di programmi che lavorano su web
per una varietà di scopi.
E' chiaro che se i termini della richiesta o, peggio, l'uso automatizzato
delle medesime, NON sono liberi, si crea una situazione di libertà
illusoria. L'utente è libero di consultare, ma non di usare i dati
geografici. E questo pare essere ciò a cui mira "Inspire" che prevede una
serie di contorte manovre che delegano alla commissione il compito di
decidere in altra sede la policy sulle licenze.

Del resto, la situazione attuale in Europa è quella prospettato da Inspire.
Tanto per fornire  un esempio in ambito inglese, se qualcuno di voi si porta
sul sito http://www.multimap.com e digita nell'apposita casella il proprio
indirizzo, otterrà in cambio una serie di informazioni tra cui la mappa del
suo territorio e, cosa che qui interessa particolarmente, le coordinate
spaziali relative alla sua abitazione. Bene. Se diamo un'occhiata alla
policy di multimap in materia di copyright (peraltro ben visibile
immediatamente sotto i risultati della vostra ricerca) compare subito una
eloquente dicitura:
«Reproduction of this map and related information is not permitted without
prior written consent». Questo non significa soltanto che la mappa viene
considerato proprietaria, ma che anche i geodati grezzi (related
information), relativi alla latitudine e alla longitudine, non possono
essere utilizzati dall'utente in quanto protetti dal Crown Copyright.

Il fatto che gli stessi "geocode" (i dati grezzi) siano sotto protezione non
solo offende il senso comune (si tratta di puri dati geografici numerici) ma
colloca di fatto fuorilegge un'ampia gamma di servizi web realizzati della
creatività dei programmatori liberi. E, visto che ci stiamo collocando nella
prospettiva del Web 2.0, una situazione come quella che si va delineando
rischia di rendere impossibili tutte le iniziative future che si propongono
di utilizzare geodati. Si badi che anche chi intende obiettare che il "cost
recovery" ha una sua logica e che tale logica consiste solo nel fatto che i
dati vanno pagati, rischia di commettere dei grossolani errori. Le
limitazioni sull'uso dei dati per essere efficaci devono necessariamente
prevedere che tali dati non possano essere diffusi. Sarebbe ingenuo pensare
che una volta pagati quei dati siano liberi. Le "inevitabili" limitazioni
dell'uso dei dati nella logica del "cost recovery" costituiranno limitazioni
altrettanto gravi ai possibili funzionamenti del software. Se, per fare
ancora un esempio ricavato stavolta dal mondo dell'editoria,  io chiedo alla
biblioteca pubblica nazionale (meglio, all'agenzia che si è appropriata dei
dati originariamente della biblioteca nazionale) i cataloghi digitali delle
pubblicazioni nazionali, non dovrò soltanto pagare (migliaia di euro) il
relativo CD-Rom. Dovrò anche attenermi a precise e terribilmente limitative
normative sull'uso. Normative che mi impediranno, ad esempio, di usare quei
dati in rete per scopi di utilità sociale. Se qualcuno volesse divertirsi a
esplorare il tariffario delle pubblicazioni può dare un'occhiata qui.
http://www.ie-online.it/offerte/listino.htm
Come si vede chiaramente sulla pagina del sito è previsto un uso
"monoutente" e il prezzo tende a salire quanto più sale il numero degli
utenti che usano quei dati bibliografici. Questo significa che se volessi
utilizzare quei dati bibliografici per un software che prevede delle
interrogazioni online da parte degli utenti, violerei la normativa. Il
catalogo si presterebbe infatti ad un uso rivolto ad un utenza
potenzialmente illimitata.

Per protestare contro questa situazione gli inglesi hanno lanciato una
petizione online, che è stata tradotta anche in italiano, raccogliendo
diverse centinai di firme  di cittadini italiani
(http://okfn.org/geo/manifesto.it.php). Il documento, inevitabilmente
generico, è sul punto di essere sostituito da un secondo documento
(http://publicgeodata.org/) che tiene conto del percorso legislativo di
Inspire.

"Inspire" è stata infatti approvata in prima lettura il 23 Gennaio 2006.
Seguirà a breve la seconda lettura. Su quest'ultima si concentrano gli
sforzi di chi si oppone alla direttiva. Da quanto si legge sulla homepage di
publicgeodata.org il Consiglio europeo «insiste sulla necessità di tutelare
i diritti di proprietà intellettuale detenuti dai fornitori di dati
pubblici».
L'obiettivo di publicgeodata non è limitato alla proposta di una nuova
petizione ma prevede anche azioni di pressione sui parlamentari. La nuova
petizione è attualmente alla stato di beta version e può essere letta (ma
non "ancora" firmata) qui:
(http://publicgeodata.org/index.cgi/SignThePetition).
Si legge sulle pagine del sito:
«Che cosa si vuole realmente ottenere con Inspire ? Questa direttiva è stata
creata attraverso un processo di consultazione non-trasparente con le
National Mapping Agencies (NMA) che hanno prodotto geodati per conto dei
governi attraverso denaro pagato con le tasse, e stanno ora tentando di
ottenere i diritti di proprietà intellettuale su questi geodati, allo scopo
di rivenderli alle piccole imprese, alle università e ai cittadini per
"recuperare le spese"».


Il silenzio della politica italiana si può spiegare in due modi: da una
parte è probabile che gli "stakeholders" siano in posizione di attesa,
fidando nell'evoluzione di Inspire, che prevede tra l'altro dei cospicui
finanziamenti. Dall'altra anche i politici più avvertiti sembrano impacciati
di fronte alla complessità dell'iter legislativo di Inspire e dei problemi
tecnologici ad esso legati. Inutile nascondere, inoltre, che la questione
impone una riflessione sul liberismo europeo e quello statunitense.
Riflessione che potrebbe non essere troppo gradita in periodo elettorale.


Sitografia

Il sito di riferimento nazionale per gli "opengeodata" è questo:

http://www.gfoss.it/
Il sito nazionale di riferimento per la campagna contro inspire sta
diventando questo:
http://publicgeodata.org

Chi voglia divertirsi con "Mapping Hack" può leggerne qualche paragrafo qui:

http://www.oreilly.com/catalog/mappinghks/




More information about the Gfoss mailing list